Descrizione
Con le fotografie di Federico Scoppa e una prefazione di Stefano Bettarello.
Il popolo ovale sono dieci storie (e mezzo) di rugby “della base”. Dieci luoghi d’Italia, tante squadre e società nate, tramontate, rifondate, tra mille difficoltà e un inarrestabile entusiasmo, senza il quale questo sport probabilmente nel Belpaese smetterebbe di esistere. Da Treviso a Catania, da Napoli a Genova, da Roma a Catanzaro, passando per Viadana, questo libro sono storie di persone, di ragazzi e di gesta quotidiane o leggendarie.
Il popolo ovale è frutto dell’incontro tra un autore e un editore, cui una passione comune ha permesso subito di parlare la stessa lingua, di guardarsi in volto, di stringersi la mano. Un’idea che l’obiettivo di un fotografo di talento, la collaborazione di diverse associazioni e lo slancio disinteressato di due partner hanno permesso di concretizzare.
Questo volume è stato realizzato con il prezioso contributo di Arix S.p.A. e di Tecnoaccessori Minuterie Metalliche S.r.l.
Scheda tecnica
- Formato tascabile (11,5 x 16,5 cm) – copertina in cartoncino patinato opaco
- ISBN: 978-88-905299-3-1
- 304 pagine illustrate con fotografie originali in bianco e nero di Federico Scoppa
- Prefazione di Stefano Bettarello, ex Nazionale italiano
- 10 storie inedite di “rugby della base”, per altrettante società italiane, con la storia di ogni club e le interviste ai ragazzi + 1 un’appendice sul Quarto Stato bresciano
- Prima edizione italiana dicembre 2012
Introduzione dell’autore
Questo libro è dedicato a quelli che non vogliono avere rimpianti. A quelli che hanno giocato a rugby o che stanno ancora cimentandosi con il sacco di vento. Ma soprattutto queste pagine sono per quelli che non hanno mai provato un placcaggio, ma che adesso stanno facendo di tutto per dare una possibilità di gioia a chi non conosce questo sport. Perché la nostra è la disciplina per definizione più democratica di tutte ma, allo stesso tempo, vive con un pizzico di maestoso snobismo il suo essere disciplina migliore. E non certo minore. Quindi tutti a bordo ma con qualche distinguo: o ci sei al cento per cento o è meglio lasciar perdere. Che tu abbia giocato o meno, il rugby non ammette mezze misure. E questo, forse, è il filo conduttore del lungo viaggio che ho fatto in giro per l’Italia alla ricerca di storie che potessero descrivere al meglio che cosa succede alla base di tutto. Troverete uno specchio del Paese, ovviamente parziale e incompleto, ma che, attraverso il rugby, pare terribilmente aderente alla realtà di tutti i giorni. Il tutto ammantato da una strana patina di magia. Perché alla fine i sogni di un bambino di Treviso possono anche essere diversi da quelli di uno di Napoli ma, a conti fatti, rimane l’ovale come prezioso comune denominatore.
In questo libro c’è tutto. Ci sono gli imprenditori illuminati e gli instancabili volontari, ci sono tante lotte contro i mulini a vento e ci sono tradizioni che generano qualità sia in campo che fuori. E c’è dentro la mia vita. Io racconto storie, ma le storie di questo libro raccontano anche me stesso. I luoghi della mia infanzia, le mie origini, i miei amori e miei odi. In poche parole, c’è la passione. Per quel rugby che mi ha tolto tanto pur continuandomi a dare tutto. Certe volte non saprei se ringraziare o maledire quel professore di ginnastica che pensò bene di mettermi una maglia del Liceo Ginnasio Arnaldo per buttarmi in campo contro il Liceo Scientifico Calini nei giochi studenteschi. La partita finì zero a zero; io che venivo dal basket trovai assurda quell’assenza di punti. Con il tempo mi resi conto di aver vissuto una vera anomalia. E, col senno di poi, ho realizzato che è il rugby stesso a essere anomalo. I valori di lealtà e rispetto tanto sbandierati da pubblicitari disattenti esistono veramente. Ma più si alza l’asticella e più diventano sfuggenti. Per questo ho voluto fare un passo indietro, io che da giornalista ho vissuto i momenti più esaltanti della crescita azzurra. Ho voluto vedere se quell’essenza che mi ha dato amici, datori di lavoro, amori, parenti e cani esistesse ancora. Una volta lasciata Catania, ultima tappa del giro, ho avuto la netta sensazione che una speranza ci sia ancora. Non solo per il nostro movimento sportivo ma per tutto questo sgangherato Paese. Perché la gente di buona volontà non ha nessuna intenzione di mollare anche di fronte alle miserie di esseri meschini. Il mio augurio è che chiunque arrivi al termine di queste pagine possa tirare un sospiro di sollievo, e trovare un pensiero ottimistico in fondo al proprio cuore. Io l’ho fatto.