Il giornalista, il comunicatore, il produttore 

Ne è passato di tempo. Ne è passato molto in poco tempo. Ciò che solo qualche anno, al massimo pochi decenni fa, poteva sembrare quasi scontato oggi è diventato così singolare da impressionare o quasi stordire il pubblico, che ti rivolge uno sguardo incredulo, quasi non capisse le tue parole. Ma quel che è più grave, e non è colpa del pubblico, è che la franchezza è diventata inconsueta al punto da creare disabitudine.

No, il ruolo del giornalista specializzato o del critico non è guadagnarsi la maggior contiguità possibile con i soggetti del suo racconto. E cioè, nel caso del vino, con i produttori o i loro intermediari. Anche se questo dà un’aura di potere e prestigio, la sua funzione non è diventarne amico e contribuire a comunicare – oggi si dice così, ma forse sarebbe più adatto il verbo promuovere – le loro aziende e i loro vini.

Certo, questa vicinanza, talora questa promiscuità, è in parte inevitabile; i vignaioli e le case vinicole sono infatti anche, in una certa misura, le fonti d’informazione del lavoro giornalistico. È un po’ un circolo vizioso: il giornalista è chiamato ad analizzare, valutare, se necessario criticare le fonti da cui attinge. Sa che le eventuali critiche rischierebbero di inimicarsele, e dunque di privarlo, in futuro, di un’importante materia prima: le loro testimonianze, le loro immagini, le loro opinioni, i loro vini, che potrebbero non voler più mettere a disposizione. Di conseguenza è facile che scatti un meccanismo, più o meno duro, di autocensura.

Esistono delle contromisure a questo problema. La prima è la ricerca di fonti alternative (ce ne sono, eccome! Anzi, non sempre i diretti interessati sono le fonti migliori). La seconda consiste nell’evitare di considerare produttori e commercianti come i destinatari del proprio lavoro. Non lo sono. I destinatari sono le lettrici e i lettori, le spettatrici e gli spettatori. A patto, ovviamente, che siano disposti ad acquistare un’informazione disinteressata e indipendente. E questo è tutt’altro che scontato, in un’èra che ci ha abituati a contenuti gratuiti e immediati. Anche a costo di non poter verificarne l’attendibilità.

Viviamo tempi di sovraccarico di comunicazione, che stanno generando un allontanamento del pubblico dall’informazione (lo dicono i dati). Per stress, per disinteresse, per stanchezza, per pigrizia, per diffidenza. Come biasimarlo il pubblico, nell’epoca delle fake news e dell’intelligenza artificiale usata per generare falsi contenuti?

Eppure non c’è altra via d’uscita, non c’è alternativa all’impegno personale. Ed è difficile perché l’assuefazione a contenuti manipolati, pre-digeriti o contaminati da conflitti d’interessi non dichiarati crea sfiducia o disinteresse da parte dei fruitori, e discredito degli informatori.

Allora credo che spetti innanzitutto a noi, professionisti del settore, compiere lo sforzo iniziale e guadagnarci credibilità. Spetta poi ai fruitori dei nostri contenuti esigere trasparenza e competenza. Mostrando coerenza al momento dello scelte.

Samuel Cogliati Gorlier, dicembre 2024


Editoriali precedenti: 

• Leggi “La trasparenza nella didattica” (Samuel Cogliati Gorlier, marzo 2022)

• Leggi “Editoriale 2021: Un balzo in avanti” (Samuel Cogliati, gennaio 2021)

• Leggi Consigli per gli acquisti” (Samuel Cogliati, maggio 2020)

Leggi Perché facciamo ciò che facciamo (e lo facciamo così)” (Samuel Cogliati, novembre 2017)

• Leggi La responsabilità della critica: quando un vino non è buono, bisogna dirlo? (Samuel Cogliati, aprile 2017)

• Leggi Il lavoro e la tenacia” (Samuel Cogliati, agosto 2016)

• Leggi “Il gusto insopprimibile del fuori strada” (Samuel Cogliati, maggio 2016)

• Leggi “L’entusiasmante peso dell’indipendenza” (Samuel Cogliati, marzo 2015)

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